sabato 12 giugno 2010

MINIERA VALAVASSERA

ecco la prima sorpresa, la miniera che sto per visitare è di piombo e l'argento è presente solo in piccole tracce ma, fascino resta comunque intatto

Miniera Valvassera
La miniera viene così chiamata dall’antico nome della valle, che deriva dal celtico vasser = acqua.
Infatti le nostre valli furono lungamente abitate dai celti, che per primi sfruttarono il territorio alla ricerca di minerali preziosi.
La roccia dominante nella valle è il porfido: una pietra formatasi da antiche eruzioni vulcaniche. Le contrazioni della lava in fase di raffreddamento producevano delle crepe che, a causa di fenomeni pneumatolitici, si riempivano di minerali metallici, poi a causa di azioni meccaniche e chimiche seguenti si disponevano in “filoni”. In questa zona i minerali principali sono Baritina, Fluorina, Galena e Pirite.
Il filone metallifero è determinato in direzione N.O. parallelo al corso del torrente e quasi verticale per una lunghezza di m. 800, mentre la sua larghezza varia da 0,8 a 6 metri. Il filone ha certamente un’estensione maggiore di quella accertata, perché vennero trovati affioramenti a N.O. verso Rasa, S.E. verso Valganna e verso Bisuschio.
Come già detto, gli affioramenti del Margorabbia vennero sfruttati dopo l’arrivo dei Celti, mentre le prime gallerie, quelle superiori, furono scavate durante la dominazione romana e abbandonate nel Medioevo. Furono riutilizzate in piccola parte occasionalmente dopo il XVIII secolo fino al 1830 da privati.
Nel 1862 V. Baglioni riprese i lavori nella miniera. Trascurando i lavori antichi, si scavò al di sopra e al di sotto di essi, si scoprirono nuovi filoni e si scavarono pozzi e gallerie nuove ampliando notevolmente le precedenti.
Nel 1870 Barboglio rilevò la concessione, acquistò terreni tutto intorno alla miniera, ricostruì la mulattiera, il bacino d’acqua, le costruzioni superiori ed estrasse molto minerale, lavorandolo sul posto. Furono eseguiti nuovi lavori di ampliamento e si progettò di costruire uno stabilimento metallurgico. La pineta e i boschi attorno servivano a fornire il legname per le travi con le quali si ergevano le armature nelle gallerie.
All’inizio del ‘900 la caduta del prezzo del piombo, dovuta all’importazione di metallo a basso costo dal Nord Africa, determinò l’abbandono della miniera.
Dopo la prima Guerra Mondiale, la ditta Girola di Milano acquistò nuovamente la concessione iniziando nuovi lavori e costruendo una teleferica automatica di 850 metri di lunghezza in grado di trasportate 50 tonnellate al giorno di materiale.
La miniera fu chiusa ancora una volta nel 1935 e riaperta dalla Società Miriva nel 1940 che, con alterne vicende, passando di mano in mano, lavorando a volte sulle vecchie discariche, utilizzò la miniera fino agli anni ‘60.
Attorno alla zona della miniera e lungo il sentiero che porta ad essa oggi possiamo vedere le rovine del complesso per la lavorazione del materiale, gli uffici e le case abbandonate, un tempo adibite ad abitazioni per i minatori e a magazzini, i resti di antiche fornaci, residui di materiale di scarto e anche qualche resto arrugginito di macchinari. Risalendo l’altro lato del torrente si trovano i resti di costruzioni fatte edificare dopo il 1862 dall’allora proprietario Baglioni per la preparazione del materiale, e più in alto l’antico bacino che serviva a rifornire d’acqua la “laveria” del minerale